giovedì 23 ottobre 2008

Proteste anti-Gelmini: un nuovo '68?

In questi giorni le università e le scuole di tutta Italia stanno protestando contro il decreto Gelmini. Anche oggi sono continuati gli scioperi e i blocchi per manifestare contro il rischio delle privatizzazioni delle università, il blocco del turnover del personale, il ritorno al maestro unico alle elementari e i tagli ai finanziamenti oltre che al personale. Il ministro dell’Istruzione ha annunciato al Senato che da domani convocherà gli studenti e sarà pronta ad ascoltarli ma a patto che si discuta sui fatti. La Rete degli studenti medi ha confermato in una nota "la propria disponibilità a discutere con il ministro Gelmini ma alla condizione "che il ministro sia disponibile a discutere su tutto l'impianto alla base dei provvedimenti e non solo su alcuni di essi". Intanto il Premier Berlusconi, che si trova a Pechino per il summit Asem, ha affermato: "Io non ho mai detto né pensato che la polizia debba entrare nelle scuole. Ho detto invece che chi vuole è liberissimo di manifestare e protestare ma non può imporre a chi non è della sua idea a rinunciare al suo diritto essenziale". I vertici delle forze dell’ordine hanno sottolineato di poter intervenire nelle università solo se chiamati dai rettori, alcuni dei quali, come all'ateneo di Bologna, hanno escluso al momento il ricorso alla polizia, definendo “fisiologiche” le proteste studentesche: "Non abbiamo nessun motivo per chiamare la polizia. C'è una discussione vivace che rientra nelle dinamiche democratiche", hanno dichiarato ieri il pro-rettore agli studenti Paola Monari e il preside di Lettere Giuseppe Sassatelli. In una società democratica è sacrosanto il diritto di manifestare il proprio pensiero, come in questo caso. Lo sancisce l'art. 21 della Costituzione. Ma quando ci sono episodi violenti come quello di Milano, i ricordi vanno subito alle proteste del ’68 che sempre saranno ricordate per la loro violenza. Si spera che gli studenti che sono scesi in piazza in queste giornate siano coscienti del fatto che non possono imporre ciò che pensano soltanto perché lo ritengono giusto altrimenti si parerebbero dietro un diritto offerto loro dalla democrazia per negare ad altri il diritto di pensarla diversamente. Se davvero ci fosse solo voglia di parlare e risolvere i problemi non sarebbe necessaria la presenza delle forze dell’ordine che si ritrovano a dover fare la guardia a quelli che, troppo spesso, somigliano più ad agitatori che a studenti universitari disposti al dialogo.

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